Secondo uno studio condotto dall'Università di Harward (Massachusetts), ci sarebbe un'importante correlazione tra la mortalità da coronavirus e l'inquinamento da polveri sottili.
E' emerso che a un aumento di un microgrammo per metro cubo di particelle aventi diametro non superiore a 2 micrometri (2 millesimi di millimetro) corrisponde un aumento del 15% della mortalità da covid-19.
Secondo Francesca Dominici, ricercatrice italiana che ha partecipato allo studio, si tratta di un dato significativo, con una affidabilità del 95%.
La quasi totale chiusura delle attività produttive, la riduzione dei trasporti e i conseguenti impatti inquinanti, hanno fatto ridurre la concentrazione di polveri sottili nell'aria, e questo regime potrebbe essere un prezioso aiuto per affrontare l'emergenza in corso.
Negli Stati Uniti si è scoperto che le zone con più alta mortalità sono le stesse in cui l’inquinamento atmosferico è maggiore.
La città di Wuhan dove è iniziato tutto si trova nella regione dell’Hubei, una delle più industrializzate della Cina, così come la Lombardia lo è per l'Italia: un virus che pare trovi nelle zone più inquinate le condizioni per migliori per mutare e diventare letale.
Osservando la mappa di distribuzione delle polveri sottili, si nota come siano presenti soprattutto nelle zone diventate principali focolai del covid-19; in altre parole la mappa delle polveri sottili e quella di mortalità da coronavirus sono ben sovrapponibili!
Ancora una volta emerge la correlazione tra coronavirus e natura violentata: sarebbe il caso che ci si rendesse conto ad alti livelli istituzionali di questi dati scientifici, imponendo se necessario la chiusura definitiva di particolari attività produttive palesemente inquinanti, se non vorranno adeguare immediatamente i loro scarichi in atmosfera secondo precise restrizioni, o riconvertire i loro impianti verso produzioni eco sostenibili, anche a costo di fare marcia indietro in campo tecnologico e industriale. Credo sia questo l'unico futuro cui la specie umana debba ragionevolmente puntare se vuole smettere di piangere i propri morti senza poterli degnare di un funerale, oltre all'avviare un rispetto della dignità di tutte le specie viventi abolendo ogni forma di allevamento intensivo e di macellazione priva di adeguate profilassi sanitarie.
(Fonte e approfondimento: Lifegate.it)
E non solo: direi che i polmoni delle persone che vivono in certe zone, potrebbero anche essere più deboli rispetto a chi non vive in posti megainquinati!
RispondiEliminaMoz-
Che sono più deboli è sicuro, togli pure il condizionale... Basta confrontare una radiografica toracica di un cittadino metropolitano con quella di chi vive in aperta campagna o montagna. Che questa debolezza agevoli il virus, potrebbe essere! A sensazione ti direi di sì.
EliminaMi sembra che non occorra andare ad Harvard per dedurre che l'inquinamento e la proliferazione dei virus, nonché l'alto tasso di mortalità, vadano a braccetto.
RispondiEliminaComunque resta che nulla cambierà. Purtroppo.
Continuo ad esserne convinta.
Dedurre è un conto, presentare dati scientifici è un altro, perché è con i "numeri" che si può tentare di essere ascoltati, non con i "secondo me" anche se riflettono una realtà evidente ma non correlabile a precise cause.
EliminaÈ bastata una settimana e la cappa che avvolge Milano, sparita durante il lockdown, è riapparsa con tutta la sua forza spaventosa.
RispondiEliminaE vedremo come le due mappe inquinamento/mortalità continueranno a essere ben sovrapponibili...
EliminaC'è voluta una pandemia per ridurre (di un pochino) il livello di inquinamento globale. Fa riflettere. Però ci si potrebbe riuscire anche senza l'incentivo virale.
RispondiEliminaTutto sta nel diventare consapevoli che occorre una nuova normalità: annullando le pandemie alla fonte e attuando regimi produttivi/economici che non speculino sull'ambiente.
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