Negli oceani si consuma una strage invisibile: ogni ora, tre squali sono catturati e uccisi, e si tratta di creature essenziali per l'equilibrio della vita marina, eppure sono eliminate senza pietà. Recentemente, la Rainbow Warrior, la nave ammiraglia di Greenpeace, ha documentato in prima linea una delle più grandi atrocità compiute contro gli squali nelle acque remote della catena sottomarina Hawaii-Emperor, nell'Oceano Pacifico settentrionale.
L'equipaggio della Rainbow Warrior ha visto da vicino una pesca brutale che impiega i cosiddetti palangari: cavi lunghi chilometri con migliaia di ami affilati, che catturano indiscriminatamente ogni forma di vita marina; è stata documentata l'attività di un peschereccio taiwanese che, in sole 25 ore, ha catturato e ucciso 84 squali. Un numero agghiacciante, che rappresenta una delle tante operazioni di pesca intensiva nell'alto mare, in zone dove nessuna legge protegge la vita marina e il profitto conta più della sopravvivenza della fauna.
In questa sorta di far west degli oceani, la pesca industriale colpisce non solo gli squali ma anche altre specie protette, come le tartarughe.
Gli squali sono i super predatori dei mari: regolano le popolazioni di altre specie e garantiscono l'equilibrio dei nostri ecosistemi marini. Senza di loro, i mari rischiano di perdere il loro equilibrio naturale, divenendo sempre più impoveriti e vulnerabili. E non è un problema solo di oggi: uno studio pubblicato sulla rivista Science ha rivelato che gli squali vittime della pesca illegale sono aumentati da 76 a 80 milioni tra il 2012 e il 2019, e di questi, circa 25 milioni appartenevano a specie minacciate di estinzione. Ma ai pescatori, dell'estinzione di specie uniche, non frega un accidente, per loro conta solo un profitto sporco di sangue.
Tra le pratiche più distruttive, il finning è anche una delle più crudeli: migliaia di squali, dopo essere stati catturati, sono privati delle loro pinne per soddisfare la domanda del mercato asiatico, e rigettati in mare, dove muoiono lentamente e soffocano non potendo più nuotare. Questo trattamento spietato contribuisce alla progressiva estinzione degli squali, sacrificati per una zuppa di pinne considerata una prelibatezza e un afrodisiaco. Oltre a queste pratiche, anche l'overfishing e la pesca a strascico continuano a devastare le specie marine, causando la morte di innumerevoli animali ogni anno.
Greenpeace sta chiedendo ai leader mondiali di adottare il Trattato ONU sugli Oceani, il cosiddetto "30x30", che prevede di trasformare il 30% dei mari in aree protette entro il 2030, incluse le aree di alto mare come l'Hawaii-Emperor in cui è stata documentata la mattanza degli squali. Tuttavia, a oggi, poco più di dieci Stati hanno ratificato il Trattato, e l'Italia non è tra questi: servono almeno 60 Stati affinché questo accordo si traduca in realtà, e ogni giorno perso avvicina i nostri oceani a un punto di non ritorno.
(Tratto dalla newsletter di Giuseppe Ungherese per Greenpeace Italia)
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